Triani “Autonomia è agire al meglio delle nostre possibilità, all’interno delle relazioni di supporto”

Venerdì 26 Marzo, in apertura degli incontri del Laboratorio di pensiero della Fondazione Pia Pozzoli – Dopo di Noi – ONLUS, si è tenuta una riflessione che ha visto come relatore il prof. Pierpaolo Triani, docente dell’Università Cattolica del Sacro e studioso dei metodi educativi. Il professore ha impostato il suo intervento riprendendo il tema dell’autonomia, soffermandosi sulle risorse e sottolineando l’importanza di momenti di accompagnamento per i familiari.

“Occorre riflettere sui significati che diamo alle azioni”, inizia il prof. Triani, “ancora di più in uno spazio di confronto come questo a cui partecipiamo oggi”. Il professore ha poi fornito un forte ed efficace spunto di riflessione cercando di spiegare quale sia l’idea di autonomia. Occorre intendere l’autonomia non come un concetto individualistico, non è la possibilità di fare delle cose completamente da soli, proprio perché ci sono cose che da soli non possono essere affrontate. Per vivere, agire e lavorare con persone con disabilità, è necessario rilanciare l’idea che autonomia non è fare da soli ma è un concetto più complesso. “Autonomia è agire al meglio delle nostre possibilità, dentro dei contesti relazionali di supporto”, implica quindi la necessità di esercitarsi tutti insieme ad uno sguardo realistico e pedagogico perché le possibilità possano essere riconosciute più grandi di quanto siano.

L’autonomia è un’idea composita, fatta da più elementi che a volte possono concorrere tutti, altre volte non necessariamente, si può essere autonomi su alcuni aspetti e su altri non esserlo.

Inoltre l’autonomia è un’idea processuale non statica: è un percorso fatto di cadute e riprese, che quindi per alcuni aspetti non è stabile, che con il tempo si stabilizzerà ma con delle tempistiche individuali.

L’autonomia è relativa, non può essere pensata in modo assoluto ma dipende sempre dal contesto in cui si è.

L’autonomia è relazionale, non importa infatti ciò che io so fare ma quali sono le risorse e le relazioni che io ho e a cui posso attingere per affrontare le situazioni.

L’autonomia è anche un’idea rischiosa perché tutti i processi di autonomizzazione hanno a che fare inevitabilmente con i processi di separazione e differenziazione. È necessario riconoscere la fatica di vivere il processo di separazione e accettare la sofferenza e la fatica dell’altro nel viverlo, inoltre ogni volta che c’è separazione c’è un rischio “nel momento in cui non lo guardo più cosa succederà?”, si chiedono i genitori in apprensione pensando a dei figli con bisogni di sostegno, ma se io continuo a guardarlo non gli permetto di crescere.

Come si deve intende quindi l’accompagnamento educativo verso l’autonomia? Il prof. Triani nel tentare di rispondere a questa domanda implicita ha premesso che quando si parla di educazione non si sta parlando di terapia, educare infatti non implica una guarigione, non risolve un problema che magari è stabile e cronico, ma si deve parlare di accompagnamento costante. Si differenzia dal dare prestazioni o dal sostituirsi, l’azione educativa può dare istruzioni, fare acquisire capacità, mentre l’accompagnamento è diverso, significa stare a fianco delle persone cercando di trovare quell’equilibrio tra il sostituirsi e il lasciare andare completamente. Stare con la persona perché questa possa avere un contesto relazionale che possa portare progressivamente la persona a stare senza di me, “Camminare insieme, stare con, non sostituirsi, non abbandonare ma promuovere”. Si può accompagnare in tanti modi, ognuno per le caratteristiche personali che possiede, ma l’aspetto di fondo è che l’accompagnamento possa essere sostenuto da un’intenzione educativa che permetta alla persona di acquisire qualcosa e fare dei passi in avanti. Quando si ha uno sguardo educativo? Quando accanto ad un’analisi dei bisogni e delle difficoltà si cerca di avere uno sguardo che pensa alle possibili risorse. Per le persone con disabilità, accanto al lavoro terapeutico-assistenziale, il lavoro educativo ha più a che fare con l’accrescimento e il mantenimento delle risorse.

Educare verso l’autonomia vuol dire lavorare per accrescere le risorse del soggetto, che sono di diverse tipologie: fisiche, affettive, relazionali, materiali, cognitive, motivazionali e sociali, di contesto e di ambiente. Bisogna tenere quindi conto della pluralità delle risorse che si possono mettere in campo. Occorre educare ad utilizzare le risorse: imparare a chiedere aiuto per esempio, riconoscersi mancante di una risorsa ed avendone bisogno essere capace di ottenerla con altre modalità. Ovviamente le risorse crescono se si rischiano, è necessario imparare a rischiare le scelte infatti solo se rischio di mettere in gioco determinate risorse queste stesse possono crescere. Se ci mettiamo nell’ottica che accompagnare sia un atto importante, è fondamentale chiedersi quali siano le risorse personali e di contesto che io posso promuovere. Ad esempio lavorare sul Dopo di Noi implica lavorare a livello di sensibilizzazione ma anche attivare risorse economiche, quindi vuol dire lavorare su risorse di contesto. Se andiamo a vedere le risorse personali si possono differenziare in altre due tipologie quelle innate e quelle apprese, acquisite con il tempo, queste crescono nella misura in cui la persona ha vissuto esperienze che le ha fatte crescere. L’esperienza è cruciale, può portare sia ad un aumento delle risorse che ad un impoverimento, in questo caso la fatica si trasforma in sofferenza. Il modo in cui una persona può vivere uno stato di sofferenza è dato dalla capacità di far fronte agli eventi e questa viene dalle risorse possedute dalla persona.

L’educazione è mettere la persona di fronte a dei compiti che possono generare risorse ma senza sovracaricare la difficoltà, senza causarle sofferenza. Per accompagnare occorre domandarsi se ciò che sto proponendo sia troppo alto o se sia troppo basso, in questo caso non genererebbe risorse, ci si deve chiedere su quale risorsa poter rischiare.

Per accompagnare con uno sguardo educativo però bisogna essere accompagnati, perché le nostre risorse sono limitate. Bisogna lavorare su tutti i tipi di risorse. Ad esempio lavorare sulle risorse economiche attraverso azioni sociali, si avrà la possibilità di creare un circuito virtuoso dove la risorsa motivazionale, il sostenersi a vicenda nell’impegno che si sta facendo copre la carenza della risorsa cognitiva del “Come faccio in questo momento?”. Se manca questo la fatica si trasforma in sofferenza. È molto importante questo lavoro di supporto.

Lo sguardo medico implica “quali sono i problemi?”, a differenza lo sguardo pedagogico comporta chiedersi “quali sono le risorse su cui posso andare a lavorare?”. Autonomia significa quindi valorizzare e accresce le risorse che si hanno e diventa anche la capacità di chiedere aiuto, di attingere ad altre risorse. Il tema della risorse è fondante, occorre tenere presente che a volte si possono aumentare mentre altre volte questo non è possibile, l’importante è non perderle, non renderle ad esaurimento. Significativo è anche il mantenimento, tenere e contenere quelle presenti, perché l’impoverimento delle risorse porta a un successivo impoverimento.

Generoso e produttivo è stato il momento di condivisione delle storie e dei vissuti personali delle persone presenti. Le situazioni sono molto diversificate ma ciò che accomuna è proprio come mettere in gioco le risorse. “I problemi si hanno di fronte, questo è inequivocabile ma le risorse permettono di immaginare le azioni, le possibilità. Si delineano nelle storie singole le diverse risorse, che da un lato sono le risorse dei vostri figli con disabilità, dall’altro poi ci sono le risorse di contesto e quelle relazionali dentro cui voi siete in questi laboratori di pensiero.” – ha detto nella sua restituzione al gruppo Triani -“Il quadro delle risorse che sostiene la vita di mio figlio in questo momento è importante. Ma lo sono anche le nostre risorse, in quanto genitori, in cui i figli sono anche risorse relazionali. Risorse di contesto come questi momenti di gruppo che si riunisce mensilmente sono importanti perchè permettono il confronto, lo sfogo, argomenti su cui lavorare, come i temi emersi: il lavoro, la residenzialità per le gravi disabilità, si gioca sulla risorsa del contesto su cui posso lavorare. Si è condiviso il tema del quotidiano ma anche del futuro che a volte è inimmaginabile, “Ho il terrore di lasciare mio figlio da solo” come detto da una mamma. Il dopo di noi è un inimmaginabile che non si affronta da soli, bisogna farlo insieme anche nella povertà di non avere una risposta in tasca. Il Laboratorio di pensiero permette di condividere i pensieri che ci fanno soffrire e fa un lavoro di sensibilizzazione, è risorsa di contesto su cui occorre lavorare come per le risorse educative nel chiedersi quali competenze si possono acquisire. È molto importante questo momento per poter ragionare insieme su come possiamo tenere alimentate delle risorse in noi e nei nostri figli.”

L’invito in conclusione del prof. Triani ai famigliari presenti è stato infine quello di continuare come famiglie a partecipare ai momenti di incontro della Fondazione Pia Pozzoli, perché occorre “allenarsi a farci aiutare e pensare alla progettualità per le persone con disabilità portando avanti il legittimo bisogno della personalizzazione dei sostegni, come solo i familiari sono in grado di evidenziare”.

testo rielaborato da Ilaria Fontana

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