Alcune considerazioni intorno alla vicenda del centro Manfredini

E’ notizia di questi giorni la conclusione della vicenda di don Angelo Bertolotti con il patteggiamento a una pena di due anni e undici mesi per l’accusa di maltrattamenti   ai disabili accolti dalla Cooperativa “Centro di Spiritualità ed accoglienza Enrico Manfredini” di via Beati, di cui il sacerdote è stato fondatore.

Al riguardo vorrei soffermarmi su come in questi ultimi anni ci siano stati importanti riconoscimenti normativi dei diritti delle persone disabili e sia avvenuta un’importante  evoluzione nei servizi a loro preposti come anche nella cultura della disabilità.

L’ottica delle strutture medico-riabilitative, sociali e giuridiche si è infatti progressivamente trasformata, contribuendo a riconoscere le potenzialità dei soggetti disabili e ad arricchire la capacità interpretativa di coloro che li circondano.

Si è delineata infatti sempre di più l’importanza dell’ambiente comunitario, della centralità della persona e delle sue relazioni sociali.

Le esperienze intraprese e le ricerche effettuate dimostrano inoltre quanto sia necessario per le persone con disabilità incontrare educatori, specialisti, operatori dei servizi sociali in grado di offrire opportunità di vita, esperienze concrete di integrazione sociale, condizioni favorevoli di accoglienza in gruppo e possibilità reali di coinvolgimento personale.

Questo radicale cambiamento è stato sostanziato in precise norme che mettono oggi il nostro paese in una posizione avanzata rispetto agli altri paesi europei ed è il frutto di un grande e tenace lavoro che le famiglie dei disabili hanno portato avanti con la determinazione di chi ha rifiutato l’abbandono e l’istituzionalizzazione chiusa per il proprio  familiare più fragile con prospettive di una più attiva inclusione nella società.

Nella nostra Regione, in particolare, la normativa specifica risale agli anni ’80 e anche nella nostra provincia in questi anni si è molto lavorato al fine di assicurare ai disabili   livelli di accoglienza caratterizzati da professionalità sociale e sanitaria.

Con la legge 112/2016, la cosiddetta legge del “Dopo di Noi”, è stato poi codificato un importante percorso di innovazione sociale che, con la designazione di fondi ad hoc, dà  un riconoscimento istituzionale e normativo a buone pratiche di residenzialità in alternativa all’istituzionalizzazione.

Nel testo di questa legge sono altresì richiamati e ribaditi i diritti fondamentali della persona disabile affermati dalla Costituzione Italiana, dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ratificata dal Parlamento Italiano nel 2009 e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ponendo come fine primario dei nuovi provvedimenti quello di “favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità” (art.1).

Mentre si cerca di attuare questo processo di deistituzionalizzazione, si cerca d’altra parte, con l’aiuto anche di volontari, di rendere altresì la vita del disabile in struttura il più possibile integrata nel tessuto della comunità di appartenenza, permettendo inoltre,  quando è possibile, la continuità dei legami familiari esistenti e la possibilità da parte delle famiglie di una attiva partecipazione al progetto di vita del proprio congiunto.

In ogni caso da una concezione legata alla beneficenza e alla pubblica carità si è passati a principi legati al diritto e rispondenti ad un incremento dei livelli della qualità di vita della persona disabile.

Viene spontaneo allora chiedersi perché non sia stato previsto anche per gli ospiti del Centro Manfredini un inserimento in questi percorsi in modo che possano trovare  ospitalità nei servizi e nelle strutture predisposte dalla legislazione vigente e perché per loro si continui  invece a fare ricorso ad interventi caritatevoli come “il buon cuore dei  volontari“ o “un privato che assicuri a loro i pasti”.

Certamente alla base dell’esperienza voluta dal don Angelo Bertolotti c’è una fede coraggiosa e radicale che si propone di creare una grande famiglia in cui accogliere con amore cristiano la disabilità.

La convivenza quotidiana con persone disabili, come ben sanno i familiari e gli operatori del sociale, è  tuttavia complessa e molto difficile da sostenere senza i supporti adeguati; comporta  infatti il soddisfare un insieme variegato di bisogni, al quale per il rispetto della dignità della persona occorre dare risposte differenziate e flessibili secondo la gravità e le specifiche situazioni e che, per essere efficace, richiede certamente sensibilità  e  affetto umano, ma insieme anche ad un sistema organico di strumenti, referenti, strutture e servizi basati su professionalità, organizzazione e un adeguato monitoraggio.

 

Vittoria Albonetti

Presidente Fondazione Pia Pozzoli – Dopo di Noi

 

 

 

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